IL DIVIN MARCHESE E LA REGINA DEL POP

La miglior vendetta
è vivere bene

D.A.F De Sade

I pesanti autobus sono già alla seconda o terza corsa. I rumori del traffico dei lavoratori e di chi porta i figli a scuola annunciano a coloro che hanno ancora difficoltà a strapparsi via dal sonno che il sangue è tornato copiosamente a circolare nelle vene a due e quattro corsie della Capitale.
L’ alba è sbocciata in fretta e straordinariamente luminosa.
Settecento ragazzi e ragazze, ma soprattutto ragazze, si svegliano nelle loro tende, già accampati in ordine sparso dalla notte prima, nella zona antecedente lo Stadio Olimpico. Dalle tende piantate iniziano a sporgere prima qualche decina di chiome frullate, poi le corrispondenti teste bianche assonnate di ragazze e ragazzine. Poco dopo, tanti asimmetrici sbadigli liberatori iniziano ad echeggiare nel piccolo accampamento. A far capolino fuori dalle tende sono, prima di tutto, tante coppie di piedini di ragazza di taglia dal 36 al 39, qualcuno in comode calzette bianche corte. Dopodichè, centinaia di beauty-case vengono tirati fuori dalle tende a scintillare sotto il sole. Un mare di coperchietti e specchietti scintillano alternati, come mandando un collettivo messaggio morse al cielo.
Questo preciso messaggio: Cielo, non piovere! Non piovere che stasera c’è il concerto!
Infine, dopo i beauty-case, dalle tende escono i corpi.
Gigliola, nick Ghigliottina 82, in piedi davanti alla tenda nelle sue Converse nere, con la maglietta di Mafalda sdrucita sulla spalla destra adottata come pigiama, scruta con i suoi occhioni azzurri un po’ arrossati l’intera zona, come per possederla. Poi constata con soddisfazione:
– Sì, sono sempre la più vicina all’ingresso.
Effettivamente, la notte è passata senza che nessuno abbia scavalcato il suo posto, in primissima fila, davanti ai cancelli dell’Olimpico.
Arrivata fin quì da Palermo, con due notti alle spalle trascorse con poche mezz’ore di sonno. Ghigliottina 82, non avendo dimestichezza con la cocaina né con le anfetamine e avendo poca fiducia nel caffè, per scrollarsi dal cervello le unghiate di sonno, si affiderà ad una confezione gigante di capsule di guaranà prese nell’ erboristeria di sua madre e a qualche bottiglia di Caffè Sport Borghetti per restare tonica e in forma fino all’ultima canzone.
Poi cerca l’orologio. Non lo trova ma trova il cellulare. Va bene uguale. Poi bestemmia. E pensa ad alta voce come quando sta a casa sua sempre da sola a cazzeggiare, dalla mattina alla sera.
– E 45? Le 7 e 45?! Non sono neanche le 8! Ci mancano altre undici ore! Mado’ e mo che faccio fino a quando aprono ‘sti cancelli? Undici ore! Ma è meglio così. Sveglierò Manuela, Enea e Raffaele e ci facciamo due chiacchiere, ‘che Manuela sicuro c’avrà altre cento cose da raccontare, e poi ogni volta che si sveglia pare abbia fatto sogni da panico che deve per forza raccontarti nel dettaglio finchè poi arriva al finale ma ormai non se lo ricorda più e ci lascia a tutte, come direbbe Seneca, col coitus interruptus. Meglio così, va. Ci sediamo e ci stiamo tranquille, e mando un po’ di messaggi a Francescomaria che stanotte mi ha inviato una citazione troppo figa. La via dell’estremo… no, dell’eccesso… boh, comunque era una frase tipo di De Sade ma fichissima, anzi, come direbbe Seneca, ficherrima. Da adesso a stasera devo stare attenta. Devo fare poco. Devo fare poche cose e devo farle con attenzione. Se mi faccio male a un piede o al ginocchio non potrò ballare né saltare. Se mi cade di nuovo la lente sinistra degli occhiali e me la calpestano vedrò tutto sfocatissimo anche se sto appiccicata al palco. Me ne devo stare bella tranquilla e seduta. Magari ci facciamo due chiacchiere, conosciamo qualche altro fan e ci si fa due birre insieme. Mmhh… però se bevo ora, di prima mattina e a stomaco vuotissimo, mi verrà l’acidità… quella che mi risale in gola tutto il tempo… però se bevo più tardi, a mattinata inoltrata, con il sole che mi picchia sulla capa, mi verrà il mal di testa. Dovrei aspettare il tardo pomeriggio per bere, quando arriverà un po’ di fresco e un po’ d’ombra, anche se in realtà non potrò bere troppo altrimenti mi verrà lo stimolo ad andare al bagno chimico durante il concerto ma io col cazzo che mi allontano e perdo la postazione che ci ho messo due giorni a guadagnarmela. Però neanche me ne voglio stare stare lucida e astemia per tutto il concerto, un po’ fuori ci voglio stare che cazzo… mi vedo il concerto di Madonna a secco? Manco andassi a vedere la recita degli alunni di mia mamma. Che poi pure lì mi sono secciata, mi ero fatta sette calate di prosecco al buffet. E poi qualche tazza me la devo fare ma non solo per entrare in sintonia col delirio di stasera, ma soprattutto per sentire di meno le botte e le gomitate che sicuro prenderò. Ma se bevo troppo e poi mi viene da pisciare ma non vado al bagno chimico mi toccherà restare per mezzo concerto con la vescica che mi scoppia e che a ogni mezzo saltello mi fa male, come mi è successo al concerto dei Depeche che a Personal Jesus dovevo stare piegata in due e con le ginocchia strette per quanto mi faceva male e alla fine me la sono pure mezza fatta sotto. Hehe… che afriche che combino certe volte… No no, questo è il concerto della mia vita e me lo devo seguire per bene. Certo che due canne ovvierebbero il problema di dover scappare a pisciare, ma ultimamente fumare mi abbassa troppo la pressione, e poi il caldo, l’emozione, la folla sterminata… se dovessi finire con lo svenire in mezzo alla gente proprio prima che attacca con Human Nature non me lo perdonerei mai. Borghetti. Sì. Mi berrò solo la bottiglia di Caffè Sport Borghetti. É un superalcolico quindi per farmi star fuori serio ne basterà qualche sorso ogni tanto, niente che mi obblighi ad andare per forza al bagno. Però non so se me lo fanno portare dentro, questo bottiglione di vetro. Basterà che ci tolgo il tappo? Non credo. Forse dovrei travasarlo in innocue bottigliette di plastica, non dovrebbero farmi storie… ma se poi nella plastica si rovina?
Intanto Manuela si è svegliata.
– Buongiorno Ghigliotta. Hai finito di fare il tuo comizio mattutino? Io ho fatto un sogno pazzesco tipo che c’erano il marchese De Sade e un altro zozzone come lui che venivano a vedere il concerto pure loro e si tracannavano una bottiglia di assenzio dibattendo se Madonna fosse veramente fetish o se lo facesse solo per vendere i dischi…
– Ma dai! Che coincidenza! Guarda che sms mi ha scritto Francescomaria proprio stanotte. Eccolo, te lo leggo: “La via dell’eccesso conduce al palazzo della saggezza. De Sade” cioè proprio mentre tu lo sognavi!
Manuela non parve entusiasta.
– Ma che c’entra De Sade, quella frase è di William Blake, ignorante…
– Ma che William Blake, mi ci ha scritto De Sade vuol dire che è di De Sade… Francesco le cose le sa. Sapeva che venivamo a un concerto che sarà pieno di effetti speciali sadomaso e mi ha citato De Sade.
– Madonna mia santa che bella coppia di ignoranti che siete, quella è una famosisima frase di William Blake. De Sade non credo abbia scritto niente che si possa citare in un sms.
– Io credo invece che tu sia solo una frega invidiosa perché a te Giovanni non ti scrive mai niente, né di De Sade né di nessuno. E comunque, visto che sai tutto tu, dammi un consiglio: secondo te il Caffè Sport Borghetti se lo metti in una bottiglietta di plastica tipo quella dell’acqua minerale si rovina?
– Eh???

Ore 11: nell’antistadio si erano radunate duemilacinquecento ragazze e ragazzi.
Il sole riscalda i visi a poco a poco. Le macchine sfrecciano nelle vie limitrofe. Ghigliottina 82 fa amicizia con alcuni vicini di tenda e ascolta un po’ di musica assieme alle nuove truppe di fan.
Duemilacinquecento persone. Come al comizio che tenne Togliatti appena dimesso dall’ospedale dove fu ricoverato in seguito al vile attentato di cui fu vittima il 14 luglio 1948.

Ore 12.30: i duemilacinquecento erano diventati novemila.
Come al comizio a Bologna del 6 luglio 1973 dove Enrico Berlinguer illustrò la necessità di un allontanamento dall’URSS e di una via europea al Socialismo.
Ore 15.30: ventottomila.
Come le donne che sfilarono il 6 dicembre 1975 per chiedere l’aborto libero, gratuito ed assistito.

Ore 19. Il sole tramonta. Aprono i cancelli: settantacinquemila.
Come i volantini distribuiti contro la guerra in Vietnam il 1° maggio del 1978 a Piazza San Giovanni a Roma.

Ore 21: Ottantamila. Come al comizio di Togliatti a Roma che chiuse la campagna elettorale del Fronte Popolare nelle prime libere elezioni del 16 aprile 1948.

Ghigliottina 82 è sempre in prima fila. Sorseggia la sua bottiglia di Borghetti travasata in una di Levissima e intona Seven Nation Army insieme a tutti gli altri, anche se in cuor suo gli viene un dubbio:
– Ma non le farà girare le palle a Madonna sentire che un’intero stadio, prima della sua esibizione, canta la canzone di un altro gruppo?
Ma Manuela le risponde con un ennesimo:
– Po-poppopoppopo-pooo.
Eppure, nonostante i due giorni di viaggio, la notte in tenda nell’antistadio, la fila di cinque ore ai cancelli, la corsa, la fame, la sete e la stanchezza, Ghigliottina 82 non è realmente la prima del pubblico ma la sesta. Davanti a lei, separata solo da un’esile fila di transenne, appena sotto al palco, c’è la tribunissima. Cinque poltroncine di plastica rosse con braccioli numerate tramite un cartellino incollato sullo schienale.
Non è il posto che gode dell’acustica migliore, è troppo sotto per cogliere la totalità degli effetti del palco. Però, dalla tribunissima, si è talmente vicini al palco che si possono bere al volo le gocce di sudore di Madonna e del suo corpo di ballo. Cinque posti messi all’asta, vinti per cifre spaventose il cui ricavato non andrà comunque in beneficienza, se si esclude la mancia al pusher portoghese che, oltre ad aver riempito di ottima chetamina la macchina dell’organizzatore, ora gliela sta anche parcheggiando. Cinque posti di cui uno rimasto vuoto. Nei restanti quattro abbiamo due ragazze di circa venticinque anni, tremanti d’emozione, provenienti da Valka, Estonia. Sono le stagiste di un giovane magnate russo erede della Painstav Inc. che dopo aver pagato il loro lavoro ha voluto aggiungere come regalo un biglietto per il concerto di Madonna a Roma con un pacchetto di viaggio completo, conoscendo la passione per Madonna delle due ragazze.
I restanti due posti, accanto a quello vuoto, erano occupati da due oscene personalità che avrebbero dovuto da molti secoli sollevare definitivamente questo mondo dalla loro presenza ma che, una tantum, in occasione di eventi che paiono dover passare alla storia, ottengono dalla segreteria amministrativa di Satana il permesso di incarnarsi e trascorrere ventiquattr’ore da comuni mortali. Uno dimostrava circa cinquant’ anni, era grassoccio, stretto in una giacca doppiopetto nera con camicia, cravatta, gilet tutto nero, con la coccardina rossa anti-aids sul risvolto. Le dita della mano sinistra infilzavano una serie di grossi anelli metallari con teschi e ossa, le dita della mano destra reggevano un bicchiere di plastica.
L’altro, più alto, molto più magro e con qualche anno di più, indossava un t-shirt nera di Nina Hagen e pantaloni di pelle che terminavano ficcati negli anfibi. Con una mano reggeva un cucchiaio con sopra un cubetto di zucchero, mentre l’altra, con il polso tremante marcato da violacei segni di corda, cercava con attenzione di versare dell’assenzio che fluisse sul cubetto di zucchero per essere poi raccolto nel bicchiere di carta del suo compare, che intanto gli chiedeva:
– E quella piccoletta, Leopold? Quella piccoletta ti piaceva?
– Quale intende, Marchese?
Il bicchiere si era riempito e il Marchese iniziava a sorseggiarlo.
Leopold Von Sacher Masoch poggia la bottiglia a terra, infilandoci il cucchiaino, e guarda torvo il suo amico, visibilmente infastidito dalla domanda.
– Su, Leopold, non fare quella faccia. Mi riferisco a quella marine piccoletta con i capelli corti neri, che teneva l’iracheno al guinzaglio… l’avrai di sicuro vista in qualche foto.
– Ah, si. Credo… credo di avere capito. Ebbene, cosa vuol sapere?
– Leopold, Leopold… non fare il finto tonto col tuo buon vecchio amico. Mi hai capito benissimo. Ti ho chiesto se ti piaceva, se ti eccitava vederla in azione con un uomo nudo al guinzaglio. Avresti voluti essere tu nudo e umiliato ai suoi piedi? Quell’immagine ti dava la stessa eccitazione che a Severin dava Wanda, quel sentimento che nei tuoi lavori chiami “suprasessualità”?
Von Sacher-Masoch ascoltava il Marchese cercando di sgozzarlo con l’odio del suo sguardo.
– Marchese. Marchese mi auguro… mi auguro di cuore che lei stia scherzando. O devo supporre che la resistenza all’alcool le si è a tal punto abbassata che pochi sorsi le hanno già fatto del tutto perdere il senno. Quello che io intendo per suprasessualità…
– Quali pochi sorsi bestia d’un Leopold? Prima che c’incontrassimo avevo già fatto fuori due bottiglie sane d’un maelstrom di liquame spacciatomi per vino in una bettolaccia là fuori, aspettando quel farabutto drogato del nostro amico. Che ancora non si fa vedere.
– Marchese. Marchese… la prego non mi interrompa. Dicevo che lei mi offende profondamente se intende paragonare Wanda, icona del divino femminile per eccellenza, dea oggetto di adorazione da parte di ogni …
– Wanda: espediente letterario che non ha ancora trovano una personificazione in tutti i trecento anni che la vai cercando, Leopold. Dacci un taglio, per cortesia, e riempimi il bicchiere.
Von Sacher-Masoch gli versa nervosamente un po’ di assenzio nel bicchiere, poi ci butta dentro una zolletta di zucchero e prosegue.
– Non è affatto vero. Se lo rimangi! Ho trovato… ho trovato le mie Wanda in ogni epoca e in ogni luogo. Quello che le stavo obiettando, se mi lascia finire, è che non ritengo affatto lecito che lei paragoni una donna dotata di sovrumana sensualità, intelligenza e carisma dominante come la mia Wanda a quell’ottusa nazista di Abu Ghraib e a quegli assassini in divisa, e poi, in ogni caso…
Il Marchese tende il bicchiere di plastica già vuoto a Leopold e lui riposiziona cucchiaio, zolletta di zucchero, bottiglia e versa.
– In ogni caso, dicevo, stiamo parlando di orrendi crimini di guerra, non dei sublimi giochi di ruolo della passione. E poi, caro Marchese, mi spiega perché lei sta insistendo da due ore su Abu Ghraib, Guatanamo eccetera? Dica la verità, mio buon amico giacobino, non è che è proprio lei ad essere eccitato da quelle immagini di volgare crudeltà? Quei corpi ammassati, inermi, le risate dei… le risate dei carcerieri nell’infliggere brutali pestaggi o torture eleborate, torture fisicamente e cerebralmente devastanti? Su, dica la verità… Quello è il sadismo per eccellenza… e il termine è coniato su di lei, mica su di me. Non si immedesimava in quei marines con totale licenza di crudeltà? Non avrebbe voluto disporre anche lei di corpi umani indifesi dei quali fare scempio in allegra compagnia? Non li ha invidiati neanche per un secondo?
Il Marchese si gira verso Leopold.
– Leopold.
– Si.
– Me lo stai versando sulla gamba.
– Oh, mi scusi Marchese.
– Va bene anche sulla gamba, purchè non ne lasciamo neanche una goccia a quel farabutto che tarda così vergognosamente ad un appuntamento preso tanti anni fa.
– Giusto, Marchese. Ecco fatto. Quest’ultimo sorso me lo faccio io.
– Accomodati Leopold. Dunque, ora cercherò di risponderti. Di risponderti distruggendoti. Mio caro amico socialista, io affermai pubblicamente che la proprietà, il potere e la ricchezza non devono restare nelle mani di pochi, specie di quei pochi che lo mantengono stretto con pugno di ferro e con leggi a loro vantaggio. La monarchia mi buttò nel carcere di Saint-Lazare e poi nel manicomio di Charenton. Con la vittoria della Rivoluzione sedevo nei banchi della Convenzione alla sinistra di Roberspierre, ma mi sono rifiutato categoricamente di firmare qualunque condanna a morte, perché lo Stato non ha il diritto di uccidere i suoi cittadini. Sono stato incarcerato e mandato in manicomio, stavolta a Picpus, anche dai giacobini.
Roberspierre in persona mi ha condannato alla ghigliottina per la mia opposizione alla pena di morte e perfino Napoleone, dopo aver letto i miie pamphlet contro l’orrore della guerra, si è interessato a me, chiedendo che venissi internato di nuovo e poi fucilato. Eppure io non ho mai torto un capello a nessuno. Mai fatto un duello, neanche un scazzottata in osteria né tantomeno uno stupro. Tutte condanne per i miei scritti, per il mio stile di vita, per essermela goduta e per aver sputato le mie idee in faccia agli aristocratici, al Terrore e a Napoleone.
É vero che ho amato e amerò sempre il libertinaggio e la limpida liberazione dell’anima tramite le infinite possibilità della sessualità, ma questo è perchè il nostro corpo è la Chiesa dove la Natura chiede di essere riverita, Leopold. Il nostro corpo è la Chiesa dove la Natura chiede di essere riverita. Ma se ho sedotto e corrotto innocenti, conducendoli nelle più luride e magnifiche depravazioni, ho sempre dichiarato di averlo fatto per il mio personalissimo piacere. Lo faccio perchè è la mia passione. E le passioni dell’uomo sono semplicemente i mezzi di cui la Natura si serve per conseguire i suoi scopi. Ciò che ho fatto di turpe e di vizioso l’ho sempre ammesso con fierezza, non ho agito perché “eseguivo gli ordini” o “per ripristinare la democrazia” né perché “sotto pressione” ma solo e autenticamente perché sono un lurido porco. Oink! Almeno io lo dico apertamente. Il problema è che la storia mi ha relegato nel suo capitolo più oscuro, mentre a quei criminali di guerra li saluta come eroi e come combattenti per la democrazia. C’è gente che dopo di me ha buttato la bomba atomica, le ideologie e le religioni hanno spazzato via milioni di vite umane nel secolo scorso e nelle dittature africane ci saranno una dozzina di olocausti che tra torture e omicidi proseguono in tutta tranquillità mentre noi parliamo. Eppure, per quattro sozzerie che ho vergato nei miei libri, è il mio nome ad essere il sinonimo mondiale della crudeltà. Ma delle mie battaglie contro guerra, pena di morte e patriarcato, solo Simone de Bouvoir e Apollinaire osarono accennarne. Ma me lo merito, Leopold, me lo merito perché anch’io un crimine l’ho commesso. Il crimine di aver riportato con accuratezza i sogni perversi e i desideri repressi della psiche degli uomini e delle donne civilizzate, uomini e donne che vivono nei meccanismi del comando e della sottomissione, della disciplina e della punizione, dell’ansia di esercitare dominio schiacciando il più debole. Sublimare questi istinti e pulsioni nei languidi giochi e nelle passioni sessuali avrebbe evitato che questa società si irrigidisse davvero in violente caste e gerarchie di padroni e servi. Io nei miei libri ho semplicemente messo a nudo i meccanismi mentali sui quali si regge la società civilizzata, e loro mi hanno crocefisso come se io impersonificassi tale orrendo sistema. La libertà ha sempre fatto paura. A proposito… ora che ti ho distrutto, vorrei farti una confidenza.
– Mi dica… mi dica, mio logorroico Marchese.
– Nel posto dove torneremo tra qualche ora, il mese scorso, incontrai Adolf Hitler. Lo fermai, gli avrei voluto chiedere mille cose, ma riuscii a fargli solo una domanda: “Come è stato possibile? Come ha potuto il tuo popolo lasciarti fare quello che hai fatto?”
Lui mi rispose sorridendo: “Credevano che sarebbe stato più saggio obbedire ciecamente a qualcuno, persino a me, piuttosto che rischiare di ottenere una libertà che non conoscevano”.
Poi davanti ai due vecchi amici, sbuca Gigliola, con un accendino in mano.
– Ciao… che avete ‘na sigaretta?
– Una… sigaretta?
– No noi non…
– Vabbè dai, mo la intacco… Ehi, ma a voi l’hanno fatta portare la bottiglia di vetro! Io ho dovuto mettere una boccia di Borghetti in due mezze di acqua minerale. Dove ve la siete imboscata, nelle mutande? O siete i nonni di Madonna? Dai non vi offendete… facciamo gli zii su… Ehi, ma mica per caso questo posto vuoto accanto a voi…?
– Be’ veramente – balbetta Leopold – staremmo aspettando William Blake.
Gigliola scoppia in una risata
– Oddio che matti che siete e poi ‘sto Blake oggi mi perseguita… dai, scemo, è libero o no?
– Si è libero. Quel drogato si sederà in terra.
Risponde risoluto De Sade.
Leopold estrae un fazzoletto e pulisce il sedile.
– Si accomodi signorina.
– Piacere, io sono Leopold Von Sacher Masoch.
– Piacere, io sono Alphonse Donatien De Sade – poi la guarda negli occhi e sorride – Sono il Divin Marchese.
– Piacere io sono Ghigliottina 82.
De Sade impallidisce. Sacher Masoch inizia a balbettare e si alza in piedi.
– Ghigliottina? A cosa… a cosa allude?
– Niente è il mio nick, il mio soprannome… se pure voi eravate sul forum di Madonna magari avevate letto qualche mio post.
Poi si siede
– Mi dai un sorso d’assenzio pure a me?
– Prego.
– Grande… oddio aspè, mi sta a squillà il cellulare mi sa che è Francescomaria.
Ghigliottina 82 inzia a parlare a raffica al telefonino e Leopold approfitta per disimpegnarsi e rivolgersi al Marchese.
– Ghigliottina… bah, secondo me è Blake che ci sta a fare uno scherzo.
– Non credo proprio Leopold. Guarda il rigonfio dei miei pantaloni. La mia verga sa ancora distinguere una morbida fanciulla in carne ed ossa da uno spettro.
– A me non dice nulla. É una ragazzina trasandata e superficiale.
– Ma come sei esigente amico mio! E va bene, allora dopo il concerto andremo a trovare questa Madonna. Faremo due chiacchiere con lei e magari potrai candidarti ad essere suo schiavo. Una donna del genere la meriterebbe la tua devozione o mi sbaglio?
– Si sbaglia e di grosso. Marchese, la prego… la prego non prenda quest’abbaglio. Questa cantante è tutta immagine. Secondo me a letto è come una qualunque stanca donna di mezz’età in pantofole. Anzi peggio. Troppo ossessionata dalla sua ginnastica e dal suo apparire per potersi davvero dedicare al piacere. Sfrutta il nostro immaginario, quello che io e lei abbiamo creato con i nostri scritti, solo perché l’aura di trasgressione l’aiuta a vendere dischi.
– Be’, Leopold, se il nostro immaginario è ancora fonte di trasgressione dopo quasi trecento anni, vorrà dire che la sua forza è autenticamente dirompente, che si allaccia alle più forti e naturali passioni umane. Vuol dire che avevamo ragione noi.
– Io, Marchese, non gioirei per la permanenza in un cono d’ombra “trasgressivo” di qualcosa di naturale come la sessualità. Al contrario, mi rattrista molto una società che rinchiude ancora tali linguaggi di libertà, passione e piacere nella cantina dello strano.
– Ma è comunque un messaggio positivo, quello di questa Madonna, visto che diffonde a un numero così grande di persone delle forti, vivaci e libere immagini sessuali. A lungo andare lo farà diventare accettato e accettabile da tutti. É una battaglia in favore delle nostre stesse idee di libertà e di naturalità.
– Ma quali idee, Marchese, questa è una battaglia solo in favore della sua pecunia. Noi abbiamo patito la galera e il manicomio per le nostre idee. Lei ci usa, non ha capito? Ci usa per vendere i suoi dischi. Ti sembra forse una pensatrice illuminista e socialista come noi? Lei vende dischi e basta. Se atteggiarsi a sporcacciona fa vendere di più, che si scodinzoli pure un bel frustino.
– E se pure fosse, che male fa, Leopold? É divertente, e non promuove mica idee di guerra o di morte. Solo ludiche possibilità di divertimento sessuale. Che le pratichi davvero o no cosa c’importa. Lei amplia l’orizzonte simbolico delle ragazze e dei ragazzi che vanno ai sui concerti. Noi vivevamo questi rituali nella più assoluta clandestinità e con la paura dei gendarmi e della forca. Lei ha sdoganato questi temi, e che gioia vederli immensi, chiari e condivisi da centinaia di migliaia di giovani. Caro Leopold, lei diffonde alle masse i nostri simboli, lei ci fa vivere ancora e magnificamente dopo tutti questi anni.
– Bah. Io i miei gusti preferirei… preferirei condividerli con calma e interiorità nel privato. La propria sessualità non è una messa, né il comizio di un partito. É qualcosa che va vissuto intimamente.
– Leopold, sei proprio un ebreo. Tirchio di emozioni come loro lo sono con i soldi.
Gigliola chiude finalmente il telefonino e subito si tuffa nella conversazione.
– Ehi che state a dire dei soldi? Volete fa ‘na colletta per n’altro po’ d’assenzio? Io ci sto, ciò tre euri…
– No no, non si preoccupi signorina, abbiamo un sacco di altra roba da bere.
– E già, voi siete nobili. A proposito, a te che ti piace tanto De Sade, dimmi ‘sta cosa: ma la frase “la via dell’eccesso porta al palazzo della saggezza” è di Blake o di De Sade?
– Temo che sia proprio di quel drogato inglese. Anche se è un’affermazione che mi trova pienamente d’accordo.
– Che palle, allora aveva ragione Manuela… quel Francesco m’ha fatto fare no sbianco… ma che stavate a di’? Di che si parla? O, avete visto queste due sedute dietro? Sono russe chissà che ci stanno a fare qua… una cià dei tagli sulle braccia, vuol dire che si voleva suicidare… be’ se ti vuoi suicidare va al concerto di Gigi D’Alessio, che ti viene più naturale, cazzo!
E guarda i due tipi che non sembrano aver capito la battuta.
– Ok, ma che ho interrotto un discorso importante? Che vi stavate a dire? V’ho sentito a parlare di ebrei, di Hitler… mica siete fasci oh?
– Fasci? – risponde Leopold – veramente noi ci stavamo chiedendo se lo spettacolo di Madonna provocasse un convinto proselitismo libertario o fosse solo un espediente velleitario per…
– O ma che so’ ‘sti discorsi pizzuti, guarda che stai a un concerto, mica a Super Quark!
– Super… Quark?
– Zitto, Leopold, ha ragione lei. E adesso piantala, per favore, che inizia lo spettacolo.
– Spettacolo? A nonno, questo è un concerto!
– Shhh. Zitta pure tu.